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THÉRMASMA MAGAZINE - Approved Draft N.3, 1999



Estetica come paradigma delle scienze umane

In un recente saggio il padre fondatore dell'ermeneutica, Hans Georg Gadamer, nota che quelle discipline che in Germania vengono chiamate «scienze dello spirito» - Geisteswissenschaften - non hanno nelle altre lingue, quando non ci si vuole limitare a una traduzione letterale, un preciso equivalente. In Francia si parla infatti di «lettres», in Inghilterra di «moralsciences» o «humanities», in Italia di «scienze dell'uomo» o «scienze umane». Gadamer tuttavia osserva che la mancanza di unitarietà linguistica nella definizione non è affatto un impedimento per comprendere la funzione storica e teorica delle «scienze umane». Una funzione, potremmo aggiungere, che è oggi particolarmente significativa poiché permette di meditare sia sul senso della scienza sia sulla realtà complessa dell'uomo in quanto spirito, dell'uomo come Geist.
È noto che nel panorama filosofico contemporaneo le scienze dello spirito hanno trovato in W. Dilthey il loro fondatore, in un momento in cui la filosofia metteva in discussione il ruolo e la funzione della scienza, che rischiava di determinarsi come dominio esclusivo dell'esattezza, del calcolo, della quantità. Le scienze dello spirito hanno quindi permesso,cercando le specificità e le leggi di discipline come la storia ed il diritto, la psicologia o la sociologia, di non immobilizzare la nozione di scienza in un quadro deterministico, presentandola invece come un sapere complesso fondato sulla consapevolezza metodologica delle differenze che ineriscono ai vari campi oggettuali del nostro mondo circostante. Solo questa coscienza della pluralità dei saperi rende possibile uno sguardo descrittivo capace di penetrare nella complessità stratificata dell'esperienza, nel suo senso non astratto e indicibile ma in un senso per noi, esseri umani concreti nel mondo.
Il significato filosofico delle scienze dell'uomo si pone dunque recuperando la loro essenza spirituale e, di conseguenza, riconoscendo il significato fondativo che lo spirito ha per il sapere stesso. Spirito che non è l'alterità assoluta, come vogliono alcune prospettive decostruzioniste, né un'effimera e nichilistica potenzialità immaginativa o contemplativa, ma una trama di senso che fonda quell'atteggiamento che Husserl chiamava «personalistico», in cui noi siamo in una concreta relazione comunicativa, dialogica ed espressiva con gli altri soggetti. Non domina qui, come nelle scienze della natura, il rapporto causale, bensí una relazione motivazionale che si esercita all'interno di una comunità intersoggettiva e in virtú della quale le persone, nel loro agire spirituale, si dirigono l'una verso l'altra.
Lo spirito di cui parliamo si edifica allora, come vuole Husserl, sul corpo, su un corpo che coglie percettivamente, con i suoi organi, movimenti e modi d'azione, il senso del proprio mondo circostante. È solo su tale base corporea che può costituirsi quella comunità intersoggettiva e spirituale le cui operazioni conoscitive trascendono la causalità per cercare la motivazione, un legame spirituale con l'altro, le sue azioni e produzioni. Senza dubbio questo io spirituale è connesso alla psiche ed al corpo: ma i suoi condizionamenti naturali non devono permettere che si risolva nella natura, pur se esiste fra i due elementi una continuità in virtú della quale gli strati di integrali relatività propri alla natura trovano nello spirito la loro assolutezza di senso. Spirito che non è astratto bensí la piena personalità, un io-uomo che prende posizioni, che pensa, che valuta, che agisce, che compie opere ed instaura valori.
La distinzione fra scienze della natura e scienze dello spirito è allora essenzialmente tematica. Se le scienze della natura puntano infatti alla realtà, alla causalità del mondo delle apparizioni, le scienze dello spirito, proprio per il loro carattere «umano», guardano all'individualità personale, alla causalità della libertà e della motivazione. Non si tratta di differenziare le due modalità scientifiche contrapponendo, come fa Dilthey, la descrizione (spirituale) alla spiegazione (scientifica ): vi è invece una distanza ontologica, cioè differenti significati delle esperienze in virtú dei quali le operazioni spirituali sono irriducibili alle leggi di natura.
Le scienze umane possono oggi presentarsi, anche senza ripercorrere le molteplici tappe di una accesa disputa culturale, come la sfera delle motivazioni costruttive, espressive, interpretative dell'attività spirituale delle persone. Un'attività capace di costruire opere, di edificare e progettare forme e che dunque ha nell'esperienza dell'arte un'espressione emblematica.
Già nel 1979 Dino Formaggio parlava dell'estetica come introduzione alle scienze dell'uomo: un'estetica che deve essere intesa sia come teoria generale della sensibilità (prendendo avvio dalla definizione baumgarteniana) sia come teoria speciale dell'arte. Se è infatti vero, come abbiamo visto sostenere da Husserl, che il corpo è al tempo stesso il centro della percezione (e delle sue modificazioni immmaginative e memorative) e la prima e fondamentale prassi di conoscenza e costruzione di oggetti, l'estetica è il punto di incrocio, quindi di introduzione, fra la sensibilità nel suo senso piú ampio e la capacità costruttiva, progettuale, dell'uomo. L'estetica opera in questo modo, per Formaggio, una distinzione di campo e di metodo tra informazione e comunicazione, cioè tra un'organizzazione di segni precostituita e codificata e un'altra nonr eferenziale, che ha il suo campo nella produzione artistica e che qui presenta segni plurivalenti e unisituazionali, fondati nei gesti di una corporeità che è dunque matrice di simboli comunicativi.
L'estetica introduce le scienze umane perché nella sua prassi comunicativa, corporea, sensibile esibisce il fondamento di una dimensione scientifica non riducibile all'informazione o all'analisi. Forse, allora, ancor piú che introduzione, l'estetica è paradigma delle scienze umane: è il loro progetto, un termine di paragone in base al quale è possibile comprendere la direzione ed il senso di una prassi scientifica. È infatti l'arte come espressività simbolica e comunicativa di un corpo senziente, estetico, a mostrare che l'uomo non è, come voleva Foucault, una lacerazione nell'ordine delle cose ma, al contrario, un essere che si esprime, che parla, che costruisce, che fonda le comunità in cui siamo, viviamo, ci riconosciamo.
Sempre per Foucault, in «Le parole e le cose, l'antropologizzazione», il grande pericolo all'interno del sapere, cosí come l'uomo è un'invenzione di cui l'archeologia del sapere può mostrare la data recente e, probabilmente, la fine prossima. È proprio di fronte a tale nichilismo distruttivo che l'estetica offre le potenzialità interpretative e costruttive delle scienze dell'uomo, affermando, con Bachtin, che non c'è nulla, meno che mai l'uomo, che sia assolutamente morto: anche i sensi passati, nati nel dialogo dei secoli, vivono di nuovo, cambiano, si rinnovano, costruiscono senso nello sviluppo successivo del dialogo. L'uomo ricorda questi sensi, li comunica, di nuovo li presenta in nuovi contesti, in rinnovate polifonie di significati. Le scienze dell'uomo nascono dunque nella comprensione dialogica che l'uomo ha di se stesso, dei propri atti e delle proprie opere e, in particolare, di quelle opere in cui è sedimentato il nucleo spirituale della sua esperienza, nelle opere d'arte come vive, significanti e dialogiche in senso sociale, politico, storico, economico, religioso, ecc.. Gli schemi e le regole conoscitive delle scienze dell'uomo sono cosí sempre comprensive della specificità del proprio oggetto, che si riferisce a un contesto «personalistico» e «motivazionale», dialogo infinito in cui non c'è né una prima né un'ultima parola.
L'estetica, nel suo riferirsi agli oggetti e a quella che Bachtin chiamala loro «architettonica», rende il corpo percipiente, su cui si edifica la dimensione spirituale, un nucleo di interpretazione delle sfere storiche e culturali che circondano e avvolgono sia l'oggetto in sé sia i momenti della sua costruzione e ricezione. Interpretare infatti, per l'estetica (e per le scienze umane in generale), non significa perdersi in una circolarità retorica né andare alla ricerca di un fondamento metafisico, linguistico od ontologico. È invece uno sforzo di comprensionee costruzione capace di mantenere la complessità e la pluralità: l'interpretazione è un dialogo fra strategie interpretative di frontea lla complessità dell'esperienza.
I nessi fra verità e senso studiati dalle scienze umane sono dunque all'interno di una genesi dialogica che vuole seguire il movimento stesso della vita. Vita che non è un indistinto fluire né l'adesione a modelli di ingenuo vitalismo bensí, come ricorda ancora Bachtin, un dialogo perenne. Perché vivere significa proprio partecipare ad un dialogo, interrogare, ascoltare, rispondere: non solo sul piano della verbalizzazione ma nel campo piú vasto della comunicazione, in cui i rapporti fra i soggetti trovano nel gesto, nel movimento del corpo, la loro emblematicità simbolica e significativa.
All'interno di questo dialogo, che è spirituale nel senso che si è determinato attraverso Husserl, l'arte è il momento espressivo: l'opera non si pone qui come una materia di conoscenza puramente teorica bensí come un evento che ha valore e vita, traccia concreta e storica di uno spirito vivente. L'arte esibisce una realtà dell'essere al mondo che è paradigma di qualsiasi costruzione perché l'attività estetica raccoglie significati apparentemente dispersi, elementi che sembrano privi di connessioni evidenti, per condensarli in un'immagine compiuta ed autosufficiente, in una rappresentazione che assume un valore storico, simbolico, spirituale. L'estetica mostra un dialogo che genera esistenza su un nuovo piano di valore del mondo, conducendo, come osserva Bachtin, alla nascita di un nuovo contesto assiologico, al piano del pensiero che pensa il mondo umano.
Il dialogo che l'estetica presenta non è dunque un metodo parziale bensí il decorso paradigmatico, l'orizzonte di senso delle scienze umane, lo strumento per evidenziare la specificità antropologica e spirituale di ogni possibile sapere, di ogni sguardo sul nostro mondo circostante che voglia superare le ossificazioni quantitative e razionaliste per afferrarne i nuclei simbolici e qualitativi, gli spessori metaforicied espressivi. La pluralità dei linguaggi e dei metodi filosoficie scientifici, il loro immergersi nelle tensioni storiche e sociali, lo stesso substrato passionale del soggetto che agisce non possono venire inglobati (e di conseguenza pacificati) all'interno di una totalità formalistica: le differenze di cui vive l'attività spirituale devono invece dialogare, far emergere il loro senso, costruire nessi e relazioni in forme irriducibili ad astratte formalizzazioni.
L'estetica è paradigma delle scienze umane perché le sue esperienze sono paradigma di qualsiasi percorso progettuale, che trova le sue concretizzazioni nelle genesi complesse delle forme culturali, storiche, religiose, simboliche. Paradigma, allora, che è una struttura essenziale tramata di eventi storici e che di conseguenza ammette differenti disposizioni fra le parti, differenti modi di manifestarsi dei legami e dei contenuti spirituali.
La capacità costruttiva dell'uomo, quella che i Greci chiamavano poiesis, è, in conclusione, il punto essenziale di questo paradigma, il minimo comun denominatore di quelle scienze «altre» che sono le scienze dell'uomo. È un atteggiamento che impone sia una descrizione dei processi di senso del nostro mondo circostante sia un intervento costruttivo sulla realtà che descrive, trasformando cosí la descrizionein una interpretazione che fa emergere dal mondo stesso, e dalla nostra vita, i nessi comunicativi, i contenuti espressivi, i legami segreti trale qualità del mondo.
La poiesis non è una metafora del dialogo ma il dialogo stesso che si fa evento spirituale, costituzione di una dimensione estetico-artistica come fondamento delle genesi progettuali del senso.
In questa genesi non si esibisce, come nell'ambito delle scienze della natura,l'orizzonte determinato della certezza poiché si devono riconoscere i dissidi, le aporie, le differenze che costituiscono la relazione poietica fra verità e senso. È per tale motivo appunto che la poiesis, nel suo essere un incrociarsi di dimensioni «umane», esige in ciascuna di esse un'istanza dialogica, che ammetta cioè, anche quando diviene opera, anche quando offre un'unità al nostro sguardo, le incertezze sensibili e passionali che sono nell'estetica, nella nostra carne e nella carne del mondo, nella sua matrice di possibilità e compossibilità, nella presenza enigmatica dell'alterità che fonda la nostra dimensione spirituale.
La poiesis, il dialogo di cui l'estetica rivela il paradigma, non è allora il riflesso teorico o critico di uno sguardo illuminato e tollerante bensí la partecipazione attiva di questo sguardo, con il suo gesto, il suo corpo, il suo spirito, alla concretezza passionale della scelta, ai rischi della sensibilità in quella genesi che muta la passione in azione. Già Aristotele insegnava che la poiesis tende a una misura che è accettazione del plurale, che è una mediazione non metafisica bensí formale e figurale, in cui forma e figura sono nessi sensibili e metamorfici che instaurano un valore che ha le sue leggi di produzionee che in quanto tale si offre al divenire della cultura e della storia, alle motivazioni spirituali della comunità degli uomini.


- Elio Franzini -







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